Monte San Savino, terra del pallone

Il bracciale non fu un fenomeno limitato alle città, anzi, l’attività coinvolse ed entusiasmo i piccoli centri dove non esistevano altri divertimenti e dove, spesso, nacquero e si formarono i grandi campioni.  Fra le realtà più vivaci e più sensibili al fascino del gioco fu Monte San Savino, città di rinascimentale di antiche origine etrusche situata nella Valdichiana aretina.

Una lunga serie di memorie, dal Cinquecento agli inizi del Novecento, dell’Archivio Storico Comunale documentano questa “innata” passione dei savinesi: nell’agosto 1565 furono sostenute delle spese per costruire “una tettoia da giocar la palla”, il 17 agosto di dieci anni dopo, l’assegnazione di una caccia (punto) nel corso di una partita provocò una serie di incidenti tra gli spettatori che ebbero uno strascico giudiziario.

Per secoli, la piazza principale (Jalta) e la ruga maestra, in mancanza di altri spazi capaci per l’esercizio del gioco, furono gravate dalla servitù del pallone che si integrò nel tessuto urbanistico condizionando i ritmi e le abitudini della popolazione, nonostante le denunce di abati e di badesse” per il troppo libero parlare dei giocatori”, le proibizioni “ di qualunque gioco e rumore”, le minacce “ di cattura, carcere, ed arbitrio rigorosi”, i pericoli “ per quelli che continovamente dovevano passare e ripassare” e i contrasti per “le giornaliere…questioni…fra i giuocatori e i commercianti”.

Nel settembre 1789, i giocatori, stanchi di tante diatribe e preoccupati per i continui rischi in cui loro stessi andavano incontro per la caduta di tegole ed embrici dai tetti, sollecitarono la Municipalità a trovare “un altro luogo dove svolgere l’onesto divertimento” ricordando, anche, gli ultimi gravi incidenti causati durante le partite: Francesca Cerboni, urtata e gettata a terra da un giocatore aveva subito la frattura di un braccio; Luigi Bellucci, nell’attraversare la piazza, aveva ricevuto un colpo di bracciale sul capo che gli aveva causato tre ferite; il figlio di Luigi del Bianco urtato alla fronte da un bracciale “fu gran sorte, nella sua tenera età, che non rimanesse nel colpo”.

L’appello non andò perduto. Il 30 maggio dell’anno seguente fu inaugurato, con una partita fra due squadre di dilettanti locali, l’impianto del gioco del pallone situato lungo le mura castellane fuori porta San Giovanni. La possibilità di poter usufruire di un’arena per il pallone fece crescere in numero e in qualità i giocatori, alcuni dei quali, di elevato talento, divennero celebri ed acclamati professionisti. Tra i più noti ricordiamo: Agostino ed Augusto Frullani e Dante Ulivi, immortalati dallo scrittore Edmondo De Amicis nel libro “Gli azzurri e i rossi”.

Oltre a questi grandi che toccheranno i vertici del successo in ogni parte d’Italia, furono rinomati anche i maestri artigiani locali capaci di costruire attrezzi da gioco insuperabili. I bracciali di Raffaello Petrazzini, di Antonio Romanelli e figli, di Nello Giannoni e i palloni dei fratelli Iacomoni, di Pietro Tosi, di Giovanni Masini e di Gino Cheli rappresentarono il meglio della produzione nazionale.

Dopo tanta gloria, la decadenza che culminò con la distruzione dell’antico sferisterio nel corso degli anni Sessanta del Novecento.

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